progetto urbano per la risistemazione del waterfront

Alla scala urbana l’area di Nerbyen può essere vista come il settore centrale del waterfront di Bodo,
dove si concentrano gli isolati a maggiore densità secondo ritmi regolari, e come il contesto di
maggiore relazione tra la città e il porto secondo due assi principali.

Il progetto prevede tre funzioni urbane primarie: la nuova biblioteca, la nuova Casa della cultura
cittadina, il centro musicale, assieme a diverse attività culturali e commerciali minori.
Le nuove funzioni sono collocate ai margini dell’area di intervento, per garantire una maggiore
distribuzione delle occasioni di riqualificazione degli spazi aperti e una maggiore vivacità nei flussi
di fruizione.

Dato che il molo esistente, pur in posizione centrale, si situa ai confini dell’area e si configura
paradossalmente come un ambito a bassa frequentazione, nella proposta di progetto se ne rafforza
il ruolo di nodo urbano, per evitare ulteriori fenomeni di marginalizzazione. Gli aspetti critici della
sua utilizzazione limitata sono contrastati dalla disposizione della Casa della cultura.

In questo sistema tripolare, realizzato con differenti materiali urbani, il rinnovo del Moloveien
rappresenta una opzione strategica per riconnettere le diverse centralità esistenti e di progetto con
un sistema di spazi urbani in stretta relazione.

Le sistemazioni dei tre poli sono definite in relazione alle direzioni, alle tipologie e ai riferimenti
visuali del contesto, reinterpretandone le risorse con differenti configurazioni

città, archeologia, piano urbanistico – temi, modelli di intervento e strumenti nella lettura di alcune esperienze recenti

La ricerca ha per oggetto lo studio delle relazioni possibili tra le diverse forme urbane contemporanee e le preesistenze archeologiche e l’analisi delle forme recenti del loro trattamento all’interno degli strumenti di piano, assumendo esplicitamente l’archeologia come tema specifico all’interno del piano urbanistico e come base per il progetto della città.

Nella Parte prima – Archeologia e urbanistica nel processo di stratificazione delle città – sono trattate le diverse forme in cui le preesistenze entrano in relazione alle dinamiche della città contemporanea, ricomponendo in un quadro sistematico le questioni necessarie per la comprensione di queste relazioni: la “natura” delle preesistenze archeologiche; il ruolo della scoperta come dato fondativo condizionante il rapporto con gli usi e le trasformazioni urbane; la trasformabilità delle preesistenze; il ruolo della loro fruizione collettiva, evidenziando i limiti della considerazione separata tra conservazione delle preesistenze da un lato e trasformazione e riqualificazione urbana dall’altro, in termini di obiettivi e di procedure.

Nella Parte seconda– Città e archeologia – le relazioni possibili – si individuano i possibili rapporti tra città e preesistenze archeologiche a scala urbana o locale, e basati sulla considerazione integrata della natura e condizione dei resti e delle forme del contesto urbano. L’individuazione delle differenti situazioni consente di mettere in luce i nodi problematici relativi ai casi specifici. Dato che l’obiettivo comune delle diverse discipline non può che essere duplice, ossia la valorizzazione delle tracce del passato e la qualificazione complessiva delle città, l’attribuzione processuale e dialettica di diversi livelli di trasformabilità dei contesti archeologici non può essere definita in base a considerazioni disciplinari “interne” o come semplice dato di sfondo per dinamiche urbane, ma solo a partire dalla verifica delle relazioni attuali e possibili dei resti con le differenti forme urbane contemporanee.

La rassegna critica di casi di studio nella Parte terza – “Città archeologiche” e piano urbanistico: alcuni casi esemplificativi – riguarda diverse esperienze fondate sull’assunzione esplicita del tema archeologico all’interno del piano. La scelta rappresenta diversi tipi di “città archeologiche”: grandi città (Siracusa, Napoli) significative sia per la commistione tra città e archeologia che per le previsioni dei nuovi strumenti di piano; città di media dimensione (Cesena, Faenza, Forlì, Modena) analizzate per i rapporti tra conoscenze archeologiche e strumenti di piano; città medio-piccole (Aquileia, Pozzuoli) rappresentative di situazioni procedurali ricorrenti; alcuni riferimenti europei (Atene, Tarragona, Cordoba). Si arriva così alla ricomposizione di un quadro sinottico delineato sulla base di indicatori comuni attraverso cui sono individuate le specificità dei singoli contesti in termini di temi, modelli di intervento e strumenti progettuali.

Come luogo di massima concentrazione di contraddizioni e potenzialità nel rapporto tra città e archeologia nella Parte quarta viene affrontato Il caso di Roma come nodo critico, ricostruendo come le preesistenze archeologiche sono entrate all’interno degli strumenti di pianificazione recenti.

L’analisi è affrontata attraverso l’esame del rapporto tra conoscenze archeologiche e piano, l’articolazione della normativa, le previsioni progettuali, le modalità di trattamento delle preesistenze nei processi di trasformazione, l’esame delle iniziative degli enti di tutela e delle loro relazioni con gli strumenti di piano. Si propone inoltre una lettura delle situazioni archeologiche locali in prevalenza concentrata sulle aree periferiche, con particolare attenzione alla visibilità, all’accessibilità, agli usi pianificati e spontanei. Sono evidenziati i possibili temi emergenti dalle recenti vicende urbanistiche, di cui si mettono in rilievo gli elementi di interesse derivanti dalle particolari procedure recenti proponendone un possibile sviluppo progettuale.

Nelle Conclusioni emerge la necessità di considerare le trasformazioni urbane come occasioni di valorizzazione delle preesistenze, e l’archeologia come elemento qualificante delle trasformazioni e “materiale” per il progetto di città. Si rende manifesta l’urgenza di integrare le conoscenze archeologiche all’interno degli strumenti di pianificazione urbana; il ruolo operativo fondamentale della individuazione dei contesti archeologici locali come atto progettuale interdisciplinare; l’importanza dei sondaggi preventivi a scala urbana e locale; la necessità di valutazioni di rischio archeologico come occasione di contatto tra discipline ed enti diversi. In sostanza, nei contesti urbani “a base archeologica” appare indispensabile la definizione di un progetto per l’archeologia come progetto culturale e componente fondativo dei progetti e dei piani urbanistici

studi per il progetto del museo dei fori imperiali

Il progetto è formulato all’interno del corso di Progettazione urbana tenuto da Raffaele Panella.
Sulla base dello studio dell’assetto dell’area dei Fori imperiali a Roma precedente alle demolizioni
del 1932, in seguito alle quali viene aperta via dell’Impero (ora via dei Fori imperiali), il corso
propone il tema della risarcitura dello scavo della collina Velia, un tempo posizionata tra la Basilica
di Massenzio e la Villa Silvestri-Rivaldi, attraverso la creazione di un museo archeologico.

Il progetto prende le mosse dalla ricognizione delle conoscenze storico-archeologiche – precedenti
la campagna di scavi al Foro di Nerva, di Traiano e del Templum Pacis condotta dal 1996 – e
dall’assunzione delle direzioni principali del luogo, definite dalle preesistenze; tra cui anche alcuni
tracciati moderni, come la giacitura di via dei Fori, che assume un nuovo ruolo.

L’impostazione generale parte dalla creazione di un sistema di spazi aperti, su più livelli e di diversi
connotati addensati attorno al vuoto, ristretto ma non colmato, tra il Tempio di Venere e Roma e la
Villa Rivaldi.


La nuova architettura, disposta in gran parte in ambienti ipogei o se in superficie al disotto delle
preesistenze storiche, è concepita come un grande “muro di sostegno”, una struttura composita
che non cerca di riproporre un dato assetto preesistente ma riconnette i frammenti e le maggiori
testimonianze deformandosi e differenziandosi secondo le peculiarità dei singoli luoghi.
In corrispondenza della sostruzione del Tempio di Venere e Roma, il cui fianco sulla via dei Fori
è scandito dal ritmo regolare delle colonne residue, l’ala antistante del nuovo museo assume un
andamento altrettanto regolare, costituendone una sorta di “base”.

Dall’altro lato, verso la Villa, in prosecuzione del muro di sostegno del Munoz, articolato in nicchie e edicole, una serie di aule e di
anditi si alterna, schermato da un muro volutamente “stratificato” e orientato secondo la Via dei Fori,
creando una successione di spazi concavi e convessi (sale espositive e relativi vestiboli) in analogia
non letterale con il muro esistente. Davanti alla Basilica di Massenzio, infine, il cui abside costituisce
l’episodio più significativo del percorso, gli edifici si ritraggono per circondarlo, valorizzandone la
forma circolare con la realizzazione di una corte porticata.


I tre corpi principali, separati in superficie, sono riconnessi al livello ipogeo da un grande vuoto
centrale, accessibile tramite un volume concavo in cui trovano posto le scale e le rampe, perno
della composizione

nuovo quartiere residenziale

L’area di progetto gioca un ruolo fondamentale come connessione tra la città esistente e il
paesaggio naturale dell’area di Kivelänranta nella città di Jyvaskyla. Il bando di concorso richiede
la realizzazione di un quartiere residenziale nell’area prossima al bosco tra i due laghi ai margini
dell’insediamento attuale.

Nel progetto il nuovo quartiere è pensato come un parco residenziale con differenti funzioni e
connotazioni. La struttura principale del progetto è data dalle connessioni: tra differenti parti urbane, tra città e
natura, tra i due laghi.

Lo sviluppo residenziale si articola secondo parti con caratteristiche diverse, per consentire un
maggior numero di opportunità e per rispondere in maniera adeguata alle diverse sollecitazioni
del contesto. Un’area a media densità vicino ai tessuti esistenti riprende le direzioni principali
degli isolati circostanti; il parco residenziale centrale – ossia le residenze nel parco, rispondendo
alle richieste del bando – si apre in maniera tale da rispettare i percorsi esistenti e moltiplicare il
contatto visivo con il lago; l’area commerciale e per i servizi si dispone in posizione di massima
continuità con la città attuale e facilmente raggiungibile dalle diverse parti del progetto.
Una connessione tra i due laghi ricollega con un sistema continuo di percorsi pedonali, spazi
urbani e piccole strutture le differenti parti di cui si compone il progetto. Si tratta di una struttura
flessibile, la cui superficie può accogliere campi da gioco, giardini tematici, attrezzature per eventi
temporanei, e che definisce un cuneo visuale verso cui tendono le diverse direzioni degli impianti
urbani proposti.

Le residenze sono progettate secondo tre tipi differenti di edifici: case in linea attorno a corti aperte,
come ambito dall’impianto più strutturato e a maggiore connotazione urbana, in prossimità dei
tessuti esistenti; case a schiera o aggregazioni di case unifamiliari, articolate in gruppi differenti con
ritmi aperti per accogliere tra le aree verdi private l’estensione del bosco; case unifamiliari isolate
nel bosco in numero modesto.

Sia il disegno a scala urbana che le tipologie residenziali sono pensate per offrire diverse opzioni e
differenti modalità d’uso dello spazio, accogliendo anche la possibilità di ulteriori interventi futuri
all’interno della stessa maglia.

gli spazi dell’archeologia. temi per il progetto urbanistico

In un contesto come quello italiano una riflessione sul rapporto tra architettura, città e archeologia
rappresenta un momento spesso inevitabile in ogni tipo di percorso progettuale, di qualsiasi natura
e scala: dal progetto di architettura ai progetti urbani e ai piani urbanistici.

Un insieme di convinzioni consolidate influenza spesso il dibattito sui rapporti tra archeologia e
piano urbanistico. Una in particolare: che le difficoltà di trattare il tema in termini urbanistici siano
di natura procedurale, e derivino solo da un diffuso atteggiamento di chiusura degli enti di tutela nei
confronti delle trasformazioni urbane.
L’insidia annidata in convinzioni del genere deriva dalla loro parziale verità. Che sussistano difficoltà
oggettive di dialogo tra diverse discipline, interessi legittimi ed istituzioni, è una constatazione
incontestabile. Ma è proprio la frequente considerazione separata della tutela da un lato e della
trasformazione urbana dall’altro ad essere tra le principali ragioni dei contrasti. Per questo è
necessario riconoscere l’inadeguatezza di una visione monodisciplinare, e la natura culturale,
prima ancora che tecnico-procedurale, dei limiti da superare.
L’obiettivo delle diverse discipline non può che essere duplice: la valorizzazione delle tracce del
passato e la qualificazione delle città. Dunque la necessità di riconsiderare i consueti modi di
procedere mette in discussione le modalità correnti di concepire la tutela, ma anche le discipline
progettuali ed in particolare l’urbanistica, rifiutando la contrazione delle possibilità di scelta ai due
filoni di comportamento più diffusi, quelli della insensibile rimozione del tema o dell’abbandono del
campo, per decenni l’unico riferimento nella definizione del rapporto tra archeologia e città.

Abbandonando l’idea che le trasformazioni dei contesti archeologici possano essere definite
solamente in base a considerazioni disciplinari “interne” o come semplice dato di sfondo per
dinamiche urbane ignare dei valori dei luoghi, non è possibile prescindere da una verifica mirata
delle relazioni attuali e possibili dei resti con le differenti forme urbane contemporanee.
Per questo è indispensabile individuare ambiti urbani distinti in base alla condizione dei resti e alle
forme del contesto insediativo; i diversi “contesti archeologici urbani”. La loro identificazione può
divenire la base per la definizione di temi, modelli di intervento e strumenti progettuali specifici,
avviando una sperimentazione di nuove forme di costruzione dei progetti urbanistici.

Si delinea in sostanza un preciso programma di ricerca progettuale. Il punto di partenza è
costituito dall’individuazione delle diverse situazioni, in base alle caratteristiche delle permanenze
archeologiche, alla configurazione del contesto urbano, alle previsioni di piano. Nel loro insieme
queste operazioni delineano le condizioni minime di un processo, interlocutorio e condiviso, per
assumere le tracce del passato come elemento ordinatore delle trasformazioni urbane. Un progetto
di conoscenza, quindi, da porre alla base del più generale progetto di città

Le parti del volume:

1. Archeologia e urbanistica nel processo di trasformazione delle città

2. Città e archeologia: una nuova lettura

3. CIttà archeologiche e piano urbanistico: alcuni esempi

4. Il caso di Roma come nodo critico

5. Ripartire dalla città. Gli spazi dell’archeologia nel progetto urbanistico

Appendice: le schede di analisi dei casi di studio (Napoli, Siracusa, Cesenza, Faenza, Forlì, Modena, Aquileia, Pozzuoli, Atene, Tarragona, Cordoba)

Allegati

A1. Eventi, progetti, scoperte: le discussioni su archeologia e città a Roma

A2. Registro degli articoli dei quotidiani riguardanti l’archeologia a Roma (1999-2001)

A3. Schede di analisi di alcune delle principali aree archeologiche di Roma